2010: L'anno del contatto

In occasione del ritorno nelle sale nel mese di giugno di 2001: Odissea nello spazio in una nuova veste restaurata nella magnificenza dei 4K, ho finalmente preso il coraggio di guardare 2010: L'anno del contatto, cosa che di fatto avevo sempre rimandato con timore per l'amore e la venerazione che nutro nei confronti del capolavoro di Stanley Kubrick. 
2010 è un film del 1984, sequel più o meno "ufficiale" di 2001 e che non vede alcun coinvolgimento da parte di Kubrick. La regia è affidata a Peter Hyams, classe 1943, buon mestierante e autore di maniera dalla decorosa carriera (Man i sporche sulla città, Capricorn One, Atmosfera Zero, Timecop sono alcune delle opere da lui dirette), che qui firma anche la direzione della fotografia. Protagonista Roy Scheider, volto noto soprattutto del cinema anni '70-'80 (Il braccio violento della legge, Lo squalo, Il maratoneta, etc.), che interpreta il Dott. Heywood Floyd, ruolo già ricoperto da William Sylvester nel film di Kubrick.
Con 2001 il film condivide solo alcuni elementi della trama, ambientata 9 anni dopo i fatti narrati nell'originale: scienziati sovietici e americani partono per una missione condivisa a bordo dell'astronave Leonov verso Giove in cerca del Discovery One, con l'intento di scoprire il mistero del monolito nero e le cause del precedente fallimento. Le somiglianze si fermano qui, perché nessuna analogia può essere trovata con lo stile, l'astrazione, il misticismo e la levatura artistica che hanno fatto della pellicola kubrickiana una pietra miliare della fantascienza e cinematografia mondiale, tutt'ora insuperata. Per le suddette ragioni, ad Hyams va di certo riconosciuto il coraggio di aver accettato di dirigere quello che probabilmente è uno dei sequel più difficili (se non il più difficile) della storia del cinema, un'impresa che molti avrebbero rifiutato in quanto si trattava di un suicidio annunciato.
Tratto dal romanzo 2010: Odissea due, sempre di Arthur C. Clark, ne semplifica l'intreccio e aggiunge il tema dell'attrito tra U.S.A. e URSS, ancora molto attuale all'epoca in cui l'opera fu realizzata, ma del tutto anacronistico nel 2010 effettivo. Questo elemento fa sì che il film si collochi quindi di fatto nel clima della Guerra Fredda e nel cinema di propaganda statunitense di quel periodo, con alcune soluzioni che al giorno d'oggi fanno sorridere: tra tutte, l'utilizzo di luci e colori cupi per ritrarre l'astronave sovietica Leonov e il suo equipaggio, espediente che porta alla mente l'analoga fotografia di un film più o meno coevo, Rocky IV, che di quel clima è anch'esso figlio.
Preso a se stante, 2010: L'anno del contatto è in realtà un'opera onesta e dignitosa, un buon e solido film di fantascienza anni '80 con effetti speciali ben realizzati in grado di reggere tutt'ora, che però forse scivola un po' a livello narrativo nel finale, tra entità aliene e presenze che sfociano più o meno nel paranormale. Il film risponde infatti ai molti quesiti volutamente lasciati in sospeso dal suo predecessore e spiega molto, anzi troppo: si perde in tal modo quel senso di mistero e fascinazione per l'ignoto che in 2001 dava a tutti la possibilità di trovare la propria spiegazione o non trovarne alcuna, restando sospesi a scrutare l'infinito dopo la visione del film.
Un plauso va fatto alla scenografia e al design in generale, davvero azzeccati e illuminati da una fotografia piacevole, sebbene con le caratteristiche precedentemente descritte. Il problema è però, come si sarà capito, che 2010 non può minimamente reggere il confronto con l'immensa opera donata da Kubrick all'umanità, rispetto alla quale questo film viene inevitabilmente schiacciato ed eclissato senza alcuna possibilità di salvezza. L'unica modo per fruirne la visione è quindi quello di riuscire nel difficile e forse impossibile sforzo di dimenticare (temporaneamente, sia ben inteso) il film di Stanley Kubrick. Il che non è propriamente lusinghiero.


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